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Perchè i pensieri ci bloccano: la ruminazione mentale

In qualche modo tutti pensano e ripensano ai propri problemi, alle proprie difficoltà o a cose che destano preoccupazione. Può inoltre capitare di pensare e ripensare a eventi accaduti in passato, un passato più prossimo o un passato più antico, e che questi pensieri generino agitazione o disagio. In psicologia questa modalità è definita ruminazione mentale.

A cosa serve la ruminazione mentale?
La ruminazione è una strategia utile per affrontare al meglio le difficoltà. Ripensare a eventi che destano preoccupazione consente di pianificare le azioni e, a volte, di trovare una soluzione. Orientarsi verso una soluzione significa chiedersi: “Che possibilità ho per migliorare questa situazione?”. La funzionalità della ruminazione è associata a un limite temporale. Mi spiego meglio: si smette di ruminare quando il problema è risolto, o dopo un periodo di tempo soggettivo, che porta comunque ad una conclusione, anche se alla fine ci si dice “non posso farci niente”. La soluzione può essere determinata dalla comprensione delle azioni da compiere per gestire la situazione e dalla loro messa in atto, oppure dalla scelta di accettare l’immutabilità di alcuni eventi, e quindi comprendere che non si può intervenire o che non sarebbe proficuo intervenire. In entrambi i casi, la ruminazione è finalizzata al superamento di un’impasse e porta alla comprensione di “cosa è meglio fare”. Questa comprensione è il frutto di pensieri che permettono di pianificare la soluzione.

Anche se la ruminazione è una strategia “adattiva”, l’uso eccessivo può avere delle conseguenze negative.

Quali sono i problemi che si associano alla ruminazione mentale?
La ruminazione, se si focalizza sulle cause e sulle conseguenze, non orienta il comportamento e non favorisce la risoluzione dei problemi. Per esempio quando ci si chiede : “ perché proprio a me, cosa ho fatto di male?” oppure ” potrò mai essere felice, la mia vita potrà mai essere bella?”.
La ripetizione di questi pensieri ha conseguenze sull’umore.
Se si manifesta frequentemente e si focalizza sulle cose che non sono andate bene, può innescare un susseguirsi di pensieri negativi. I pensieri negativi, quando sono predominanti nella mente possono, in relazione al contenuto, generare ansia e/o depressione o mantenere uno stato ansioso e/o depressivo. La ruminazione non funzionale può rendere inattivi, può portare a rimandare e a evitare piuttosto che ad affrontare e risolvere.

L’esempio di Clara
Clara ha 36 anni, lavora da 7 anni in call center, ha un contratto di 36 ore settimanali a tempo determinato e si ripete quotidianamente che i suoi interessi e il suo titolo di studio non sono affini a questo ambito lavorativo. Inoltre pensa che il suo contratto è a scadenza semestrale e potrebbe non avere il rinnovo da un momento all’altro, che il suo compenso non le permette di vivere da sola (vive con i suoi genitori) e di iscriversi in palestra o occupare il suo tempo libero in una qualsiasi attività per lei gratificante.
Vorrebbe cambiare lavoro e periodicamente invia il suo curriculum tramite email a molte aziende. Finalmente riceve una risposta di suo interesse e decide di presentarsi al colloquio con il responsabile dell’azienda. Il colloquio va a buon fine e Clara ha una buona occasione: contratto di 36 ore a tempo determinato con scadenza ogni 2 anni, possibilità di crescita professionale e un compenso più alto. In più la scelta del settore era stata fatta da lei in precedenza, quindi l’ambito le interessa e potrebbe permettersi il fitto di un appartamento.
Dopo un iniziale momento di felicità si susseguono ripetutamente una serie di pensieri:
“li non conosco nessuno, potrei non riuscire ad avere un buon rapporto con i colleghi, potrebbero dire che sono antipatica, potrebbe diventare un ambiente ostile, potrei sbagliare qualcosa, potrei non essere capace in questo lavoro, potrei essere licenziata, potrei fallire e rimanere senza lavoro.” (ruminazione 1)
Per molto tempo durante il giorno pensa a cosa fare e i suoi pensieri sono sempre gli stessi, non la aiutano nel prendere una decisione e le creano ansia. Per poter dare una risposta ha una settimana e allo scadere dei giorni sceglie di rinunciare al nuovo lavoro. Immediatamente l’ansia che provava scende e si sente meglio, alleggerita e rassicurata. Dopo pochi minuti comincia a pensare:
“ho avuto una bella occasione, ma perché sono sempre così, non sono mai capace di cogliere le opportunità, l’ho pure cercata io, erano mesi che non facevo altro che inviare curriculum, la mia vita sarà sempre così, non andrò mai via da casa, farò sempre cose che non mi piacciono, sbaglio sempre, sono una fallita.” (ruminazione 2)
Questi pensieri si susseguono nei giorni seguenti e le creano ansia, tristezza e senso di colpa.
Cambiare lavoro e spostarsi in un ambiente nuovo, senza conoscere nessuno e sperimentarsi in compiti diversi, può dar vita a pensieri come “chissà come andrà, cosa potrebbe succedere, etc” e quindi generare ansia. Nel caso di Clara, però, la ripetizione costante di questi pensieri ha aumentato ulteriormente l’ansia, determinando un desiderio di porre fine immediatamente a questo stato.
Nel primo caso (ruminazione 1) la ruminazione ha determinato un aumento dell’ansia.
Fare una scelta, e comprendere che non è stata la scelta migliore, genera dispiacere e fa sicuramente ripensare all’accaduto. Ripensare serve a ricordare meglio, a premettere che la nostra mente immagazzini queste informazioni in memoria. Perché dobbiamo ricordare?
Per non scegliere allo stesso modo e non ottenere, quindi, le medesime conseguenze.
Dopo aver appreso questa lezione, continuare a pensare non è più utile, bisogna accettare come sono andate le cose, arricchiti da nuove informazioni che renderanno le nostre azioni future più funzionali.
Nel secondo caso (ruminazione 2), Clara non accetta, al contrario si squalifica generalizzando il suo comportamento, si dice che sbaglia sempre, che è una “fallita”. L’effetto sarà diretto sull’umore e, se i pensieri rimangono sempre gli stessi, non sarà d’insegnamento per il futuro.

Perché evitare e rimandare?
L’evitamento e la procrastinazione non avverrebbero se non avessero dei vantaggi.
Quando si evita una situazione difficile si prova un immediato sollievo e l’ansia e la sofferenza emotiva si riducono. Questo rinforza il comportamento che verrà nuovamente ripetuto.
Per evitare ci si potrebbe dire: “meglio non far nulla finché non ci penso bene”, oppure “azioni affrettate non porterebbero a nulla di buono, devo pensarci meglio”, ma ripetendosi sempre queste frasi nella mente, si va avanti un giorno dopo l’altro, una situazione dopo l’altra, senza affrontare effettivamente il problema.
Certo, riflettere prima di agire è una buona norma, ma in questo caso parliamo di pensieri che non variano quasi mai, che portano ad una “solita” modalità di agire e che si ripetono in più contesti. La conseguenza a lungo termine è che i problemi non risolti si accumulano, le condizioni da evitare diventeranno sempre di più e la ruminazione mentale aumenterà.

La consapevolezza per ridurre la ruminazione non funzionale
La ruminazione mentale non funzionale potrebbe diventare un’abitudine automatica. Nel tempo si potrebbe non rendersi conto delle proprie modalità di pensiero e di quando determinati pensieri si attivano automaticamente. Un primo passo, per modificare questa abitudine, è aumentare la consapevolezza del proprio funzionamento mentale: capire quando si comincia a ruminare e quali sono i temi o gli eventi che creano questo “treno di pensieri”.
Rendere la propria ruminazione “funzionale” è un obiettivo raggiungibile.
L’aiuto di un terapeuta e un training specifico per rendere funzionale questa strategia, possono migliorare il modo di interagire con sé stessi e portare la propria vita in una direzione in grado di rispettare le aspettative personali.

dott. Gabriele Ferlisi